INTERVENTO DI PASQUALE CAPELLUPO

PRESIDENTE CRU UNIPOL – CALABRIA

C’è una casa nella periferia estrema di una città calabrese che non ha insegne, non ha campanello e nemmeno un segno di riconoscimento. Una casa anonima apparentemente, ma che non ha eguali nel mondo. Ci vivono bambine e adolescenti che sono state vittime di abusi sessuali e gravissimi maltrattamenti. Si riprendono la vita, lentamente, giorno dopo giorno, si riprendono il presente e il futuro in attesa di poter pensare al passato. Crescono e vanno via, in genere, ma qualcuna non ha dove tornare e resta ancora davanti al camino della Casa di Nilla. Tutte imparano a lavorare, per il dopo. Verrà un buon lavoro, ben retribuito, giustamente apprezzato, stabile magari. Intanto, è venuta un’idea. E gli educatori hanno iniziato a sporcarsi le mani di terra. Hanno messo su un’attività di agricoltura sociale e producono agrumi, ortaggi, miele, birra e vino. Un Greco di Bianco Doc. Dicono che il Greco di Bianco sia il vino più antico del mondo, antico quanto la lotta tra il bene e il male, quanto il dolore e la felicità.
Il Neda, “il vino che fa bene ai bambini”, lo produce Casa di Nilla, o meglio, la “Farm Casa di Nilla” che si occupa di una serie di attività di agricoltura sociale finalizzate alla produzione ed alla commercializzazione di vino, birra, miele, marmellate, agrumi ed ortaggi.
La Casa di Nilla invece è il Centro specialistico della Regione Calabria per la cura e la tutela di bambini e adolescenti vittime di abusi sessuali e gravissimi maltrattamenti. Unico nel suo genere nell’Italia meridionale, garantisce un approccio multidisciplinare, articolato sul piano clinico, sociale, educativo e giuridico, alla gestione del complesso fenomeno dell’abuso e del maltrattamento all’infanzia e all’adolescenza. La presa in carico ha una forte valenza terapeutica e riparativa ed è sempre finalizzata al rientro dei bambini in contesti familiari nel più breve tempo possibile.
Casa di Nilla produce, in Calabria tantissime, cose buone, per la delizia dei palati, ma anche dell’ottimo cibo per la coscienza dei calabresi.
Casa di Nilla è l’esempio plastico di come una comunità si organizza e si determina per proteggere la sua parte debole, per integrare quel welfare pubblico che sempre più si ritira, lasciando scoperte soprattutto le “marginalità” accentuate della società.
La Calabria ha una “narrazione” difficile, la nostra è una regione di cui si parla molto, ma forse si conosce poco.
La responsabilità, naturalmente, non è di chi la narra, se non nella parzialità e superficialità dell’approccio.
In un numero speciale de “Il Ponte” di Piero Calamandrei dell’ottobre 1950 la scrittrice partigiana Bolognese Renata Viganò, con lo sguardo lucido e attento di una donna che proveniva da oltre mille chilometri di distanza e che aveva fatto dell’impegno politico e sociale una ragione di vita, scrive:
“la gente di Calabria non è né rassegnata né disperata ….. le basta essere vista e capita com’è…Si guardano intorno gli uomini e le donne, e i vecchi e i bambini, e tutti sanno bene come rispondere alla propria angosciata domanda ”Perché siamo così?”. Lo sanno e ci vedono lontano, oltre i picchi, i costoni, le rocce del loro mondo relegato, fin verso i luoghi dove potrebbe essere la loro sorte nuova”.
La Calabria è terra di contrasti che non attengono solamente alla sua geografia fisica, ne solamente ai fenomeni sociali e culturali che la pervadono.
Giancarlo Rafele, direttore di Casa di Nilla e dirigente di Legacoop Calabria assieme a Nicola Fiorita, professore Unical e presidente di Slow Food Calabria, hanno pubblicato, da qualche settimana, un bellissimo libro dal titolo: “il bicchiere mezzo pieno”.
I due si sono messi in viaggio per raccontare la Calabria attraverso i luoghi, i paesaggi, la storia, la cultura e, soprattutto, attraverso uomini e donne che non si arrendono alla burocrazia, al malaffare, agli intrighi di una terra che appare fatta di individualismi, invidie, gelosie e rivalità che, assieme alla ‘ndrangheta, ne strangolano lo sviluppo.
Ci raccontano dei Matti di Maròpati che coltivano Kiwi e seminano futuro, e come quelli di De André “vanno contenti, tra il campo e la ferrovia”, di SOS Rosarno, l’associazione di piccoli produttori nata con lo scopo di garantire i diritti dei lavoratori immigrati, di Fimmina TV la televisione che già nel nome ingaggia il duello con gli stereotipi, del Consorzio Terre del Sole che accoglie soggetti appartenenti alle cosiddette fasce deboli per il loro reinserimento lavorativo, naturalmente su terreni confiscati alla ‘ndrangheta, come quelli di “Terre Ioniche” di Isola Capo Rizzuto e “Valle del Marro” di Polistena, che poi sono le destinatarie del contributo di Unipol a “Libera Terra” e che accolgono nei campi estivi i dipendenti del Gruppo per esperienze di volontariato. E poi dei Cirò Boys, i giovani vignaioli del Cirotano, dei pochi contadini rimasti nell’alto Tirreno a coltivare il Cedro, il frutto della festa degli Ebrei, che i Rabbini vengono a raccogliere di persona, delle Clementine della Piana di Sibari. Sono attori collettivi, piccole comunità, quelle che si muovono e generano opportunità e capitale sociale (cooperazione, fiducia, reciprocità, reputazione) attraverso relazioni, sapere tacito, capacità di rigenerare e produrre beni collettivi all’interno di territori definiti e circoscritti.

Aleardo Benuzzi, ha parlato, nel suo intervento iniziale, del progetto elaborato da Unipol che il CRU sta realizzando in Calabria in collaborazione con l’Unical e Torino Nord Ovest.
Il titolo che abbiamo dato al progetto è “Economia della terra. Cibo, territorio, vocazioni, sviluppo in Calabria.”
Piuttosto che il solito catalogo delle “eccellenze”, l’intenzione è quella di approfondire lo stato dell’arte, le possibilità di sviluppo, la reazione alla crisi, gli adattamenti, le scelte operate dalle imprese in rapporto alla valorizzazione delle risorse territoriali e culturali della Calabria.
E’ già in corso UNA INDAGINE ESPLORATIVA attraverso la descrizione di 12 casi d’impresa ricostruiti attraverso interviste in profondità a imprenditori e artigiani calabresi, con storie di vita e professionali emblematiche. Una indagine esplorativa per fare il punto su un ecosistema in cui si muovono attori pubblici e privati, alla reciproca ricerca di opportunità di collaborazione e sviluppo.
Con il LABORATORIO DI RIFLESSIONE TERRITORIALE mettiamo assieme 50 operatori, distanti per provenienza e storia ma accomunati dall’interesse per l’economia della terra e il suo indotto.
A conclusione UN CONFRONTO PUBBLICO SULLO SVILUPPO con i rappresentanti delle istituzioni, delle imprese e della società civile, per discutere di uscita dalla crisi, risorse disponibili e crescita.
E’ il tentativo di un “racconto” finalmente normale della Calabria, un racconto che non mette in ombra i problemi e le negatività ma che ha la capacità di fondere la denuncia di mali endemici con le storie di una nuova Calabria che genera ogni giorno progetti e idee, che coltiva competenze ed esperienze, creatività e voglia di innovare, che contribuisca a mettere in rete le tante esperienze che solitamente si muovono e non trovano mai un quadro unitario cui far riferimento.
Gli ultimi rapporti, quello dello Svimez e quello dell’ISTAT, tratteggiano un quadro difficile per il Sud come d’altronde per il resto del Paese.
Il dato macroeconomico indica che in quanto a occupazione/reddito, e quindi a benessere e sicurezza, a consumi, a investimenti, se l’Italia arranca, il Sud continua a rimanere alla corda.
Eppure, ci dice il Censis nel Rapporto 2015, gli italiani si muovono, non più come collettività, certo non dentro un “progetto generale di sviluppo” che non esiste più da tempo, ma da singoli, all’interno magari di piccoli territori, o di piccoli gruppi sociali.
Sono le dinamiche che registriamo in Calabria e che si è cercato di tratteggiare nell’intervento.
Il presidente Stefanini, sollecitando la partecipazione a questa Assemblea, ci rassicura sul fatto che la nuova dimensione di Unipol non smarrirà il patrimonio di valori identitari e costitutivi del Gruppo e manterrà saldo il rapporto con le con le grandi organizzazioni del lavoro, delle PMI e delle cooperative.
Il salto dimensionale del Gruppo pone anche noi, stakeholder di riferimento, difronte a nuovi scenari e nuove responsabilità non solo rispetto al mercato dei servizi finanziari ma anche e soprattutto nei confronti del “sistema” Paese.
Partecipiamo, quindi, interessati, a questa riflessione sul ruolo e sulla funzione della “nuova” azienda di fronte alle incognite della “società del rischio”, al restringimento del welfare, al nuovo rapporto tra finanza ed economia, alla finalizzazione degli investimenti a sostegno dello sviluppo, nazionale e locale ed infine l’assunzione del paradigma della sostenibilità non già come vezzo filantropico ma come modello di policy aziendale e contributo alla sostenibilità dell’intero Paese.
Partecipiamo quindi, con una grande aspettativa e convinti che: #nessunodeveesserelasciatosolo non è un auspicio, ma un progetto ed un impegno di Unipol e del suo mondo – ce lo chiedono le ragazze e i bambini di Casa di Nilla.