Un paese diviso e diseguale, dove il Sud scivola sempre più nell’arretramento. È la fotografia emersa dalle anticipazioni del Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno presentato lo scorso luglio. Scrivere il rapporto che nel 2014, per il settimo anno consecutivo, il PIL del Mezzogiorno è risultato negativo (-1,3%) con una riduzione complessiva negli anni della crisi pari al 13%, quasi il doppio della flessione registrata nel Centro-Nord (-7,4%).

Mentre il PIL pro capite tornava ai livelli di quindici anni fa, oltre il 60% dei cittadini meridionali ha un reddito pro capite che non supera 12.000 euro annui, i consumi delle famiglie sono crol-lati del 13%, gli investimenti nell’industria del 59%, nel settore dell’agricoltura del 38% – ma tale contrazione si associata a difficoltà strutturali come le modeste dimensioni delle aziende, l’invecchiamento degli imprenditori, un valore aggiunto del settore diminuito dall’inizio degli anni Duemila del 16%.

La difficoltà complessiva della produzione nel Mezzogiorno si lega a un mercato del lavoro in grande affanno. Se l’occupazione è una priorità nazionale, vale particolarmente al Sud, dove nel 2014 si è ulteriormente contratta (-0,8%), mentre al Centro-Nord tornava un poco a crescere. Il tasso di disoccupazione giovanile nel Mezzogiorno, infine, ha toccato quota 56%.

La riduzione cumulata del PIL risulta, per quasi tutte le regioni meridionali, più accentuata che nella maggior parte delle regioni del Centro-Nord, ma la situazione non è uniforme: nel 2014, il calo delle attività economiche è alto in Puglia e in Sardegna, si attenua la flessione in Abruzzo, Campania e Sicilia, migliora molto il Molise, la Basilicata e la Calabria che presenta il risultato più incoraggiante (-0,2%). Insomma, scrive l’Istat, è la disomogeneità la prima caratteristica di un pae- se dove si giustappongono punte di eccellenza e vitalità a problemi specifici per singole aree, settori, gruppi di cittadini o di famiglie.

Il punto chiave, sostiene l’istituto nazionale di statistica, è l’assenza da molti decenni del Mezzogiorno dalle priorità delle policy, mentre ha preso piede un modello che ha allargato il divario con le aree Settentrionali, non soltanto sul terreno delle attività economiche e dell’occupazione ma anche in quasi tutte le dimensioni del benessere: «Il problema è tale che se non si recupera il Mezzogiorno (le sue imprese, le sue città, i suoi residenti) alle dimensioni di sviluppo e di crescita su cui si stanno avviando altre aree e altri soggetti del paese, sviluppo e crescita non potranno che essere penalizzati, quantitativamente e qualitativamente, rispetto agli altri paesi».

1  Sulla base di questa evidenza, indica l’Istat, per riportare il Mezzogiorno sul sentiero della crescita appaiono opportuni tre tipi d’investimenti: in capitale fisico, in capitale sociale (cioè nella fiducia reciproca dei cittadini e degli operatori economici, a partire dalla scala urbana), in un’amministrazione “responsabile” e capace di politiche verificabili nei loro risultati.

 

I vantaggi economici di un patrimonio culturale diffuso.

Spesso il riferimento alla storia, alla tradizione, all’eleganza, allo stile e alla qualità della vita che caratterizzano l’Italia è trattato come uno stereotipo. Però è in questa accezione che si fa riferimen- to al Made in Italy inteso non come comparto (si tratta invece di una pluralità di settori) ma come risorsa intangibile che “dà valore” cristallizzandosi in alcune produzioni nazionali e tipicità territo- riali. Poiché vive di un delicato equilibrio tra componenti tecnico-economiche e culturali- territoriali, il Made in Italy chiama in causa metodi e competenze localizzate, tradizioni produttive, usi nuovi di materiali, oggetti, competenze.

Anche l’Istat ricorda che fattori come il patrimonio artistico e naturale, la storia e la tradizione locale, la qualità della vita rappresentano opportunità per i territori, nel senso che le risorse fisiche e le attività economiche rispecchiano la vocazione culturale e attrattiva dei luoghi – concetto nel qua- li si ricomprende il patrimonio storico e monumentale, quello paesaggistico, le risorse agro- alimentari, l’artigianato artistico, l’industria culturale e creativa.

Il Made in Italy, insomma, non si riferisce solo al mondo manifatturiero. Esiste un Made in Italy della terra, dove le componenti intangibili del valore sono radicate nell’impresa agricola e zoo- tecnica, non più semplici produttrici di beni che l’industria alimentare si incarica di trasformare e “rivestire” di contenuti immateriali, ma attori strategici di una filiera sempre più spesso complessa e integrata.

Esiste un Made in Italy della distribuzione, si pensi all’esperienza di Eataly – la più nota – ai negozi monomarca e infine ai tanti esercizi commerciali capaci di creare valore attraverso l’investimento nel contenuto esperienziale. Ed esiste un Made in Italy dell’accoglienza e della risto- razione, ancorato alle qualità del territorio eppure sempre più intrecciato alle reti internazionali della promozione, che gioca un ruolo chiave nella mobilitazione dell’incoming turistico, di visitato- ri, residenti temporanei, studenti, operatori economici interessati alla qualità del vivere oltre che dai tradizionali asset localizzativi.

Questa accezione del Made in Italy è al centro della ricerca. Economia della terra. Cibo, territorio, vocazioni, sviluppo in Calabria.

COME SI SVOLGE LA RICERCA

La ricerca intende approfondire lo stato dell’arte, le possibilità di sviluppo, la reazione alla crisi, gli adattamenti, le scelte operate dalle imprese che hanno al cuore del loro modello e prodotto la valo- rizzazione delle risorse territoriali e culturali della regione Calabria.

Partendo dalla filiera agroalimentare (produzione, distribuzione, commercializzazione), l’indagine intende allargare lo sguardo verso le filiazioni economiche che legano il cibo alla valoriz- zazione territoriale, analizzando le trasformazioni in corso tra le imprese, osservando casi emble- matici di trasformazione di prodotto e di processo, intrecciando storie d’impresa e storie personali. Attraverso la lente del cibo, ci si propone di osservare i tanti microsettori ad esso collegati, in un’ottica integrata e trasversale: l’agricoltura e la trasformazione agroalimentare; la produzione di sistemi, macchine e apparati; la trasformazione delle risorse naturali; la commercializzazione; la leva turistica e l’impresa culturale.

Certificato dall’Expo, il tema del cibo sta assumendo crescente importanza a livello nazionale. La filiera agroalimentare ha aumentato il proprio valore aggiunto nel periodo 2008-2012, con una incidenza pari al 13% sul sistema economico complessivo, e un peso del 20% in termini di occupa- zione (dati 2012). L’Italia è fra i pochi paesi comunitari a svolgere una rilevazione annuale sulle DOP-IGP-STG che rappresentano il mercato dei prodotti di qualità, che ha visto crescere la propria quota di fatturato in export del 200% fra il 2004 e il 2013.

Il secondo luogo, la ricerca intende mettere in luce il modo con cui prende forma e viene inter- pretato il concetto di sostenibilità, in senso ampio e non limitato all’impatto ambientale delle pro- duzioni. È ormai maturata la prospettiva secondo la quale nessuna via d’uscita dalla crisi sia prati- cabile senza scommesse lungimiranti su un’economia “a misura d’uomo”, nel senso che sostenibilità significa curare il rinnovamento delle risorse come base di un possibile rilancio delle nostre econo- mie, anche in chiave sociale.

L’esplodere della crisi ha reso evidente l’insostenibilità di un modello basato sulla massimizza- zione dei profitti a breve, mettendo in discussione la concezione dell’impresa come “macchina con- tro il sociale”. Anche in ambito Comunitario (si pensi ai fondi di ricerca Horizon 2020 destinati alla social innovation), l’innovazione non viene concepita come sviluppo di nuovi prodotti o tecno- logie sostitutive di lavoro vivo, al contrario considera le imprese come “sistemi aperti”, in grado di assorbire e dare valore alla capacità creativa e alle conoscenze diffuse, soddisfare bisogni collettivi, proporre nuove dimensioni della vita attiva, nel lavoro come nelle attività espressive e civiche.

GLI ARGOMENTI DELL’INTERVISTA

Cuore della ricerca è la descrizione di alcuni casi d’impresa che prende forma attraverso la rea- lizzazione di interviste in profondità a imprenditori e artigiani calabresi, con storie di vita e profes- sionali emblematiche. Obiettivo dell’intervista è cogliere le peculiarità della singola esperienza im- prenditoriale col suo specifico carico di visioni, successi e intenzioni, per leggere attraverso la sin- gola esperienza la trasformazione del mondo di cui fa parte.

Le interviste vengono condotte seguendo una traccia che, oltre a mettere in luce alcune infor- mazioni generali utili a tratteggiare i caratteri dell’impresa (dimensione, addetti, mercati, tipologie di clienti), è finalizzata a fare emergere i caratteri di innovazione del prodotto e dei processi pro- duttivi, e il legame fra impresa e territorio.

Si prevede una durata del colloquio di 90 minuti, al termine del quale sarà consegnata una bre- ve scheda di raccolta dati richiedendo all’impresa di precisarla negli eventuali aspetti che non fosse- ro già emersi nel corso della conversazione.

 

Argomenti trattati nel colloquio

Breve storia dell’impresa
Proprietà, forma, organizzazione
Addetti e loro caratteristiche
Prodotti e cambiamenti intervenuti
Qualità, Made in Italy, sostenibilità
Mercati e internazionalizzazione
Reti e partnership, rapporti con il territorio
Dimensioni dell’innovazione (tecnologica, di prodotto, organizzativa)
Crisi e suoi impatti
Andamento, cambiamenti e previsioni
I fattori di successi dell’impresa
Opportunità e rischi nel futuro dell’impresa

L’indagine è svolta da un gruppo composto da sociologi ed economisti, dell’Università della Calabria e del centro di ricerca Torino Nord Ovest. Il lavoro sarà completato entro marzo 2016.